Adorno sosteneva che, qualora non fossimo in grado di percepire empaticamente il dolore inflitto a un animale, inconsciamente e implicitamente giustificheremmo l’olocausto.
Questo perchè le azioni delle SS, e la persecuzione degli ebrei, si fondavano su una prospettiva mentale analoga: quello inflitto all’altro non era autentico dolore, era solo mera apparenza, un qualcosa di necessario e imprescindibile per il bene della razza pura. ( ! )
Dalla storia, collettiva e individuale, abbiamo imparato però che non condividere il dolore altrui è manifestazione di arroganza, di ipocrisia, di violenta imposizione sul mondo.
Purtroppo, in merito agli animali, questa prassi è particolarmente diffusa: sembra convinzione radicata da tanti che il dolore di un animale non sia lo stesso dolore dell’uomo.
Se è ancora comprensibile una diversa assegnazione di valore tra l’uomo e l’animale, per quanto riguarda il dolore le cose stanno senza dubbio diversamente.
La nostra cultura, da questo punto di vista, sembra ancora ferma alla posizione cartesiana che vede nell’animale una specie di macchina, un essere senz’anima che esiste in funzione dell’uomo. ( ! )
E’ anche vero che una pratica distorta e altrettanto diffusa è quella di affidare all’animale caratterizzazioni, funzioni, ruoli che sono in realtà propri del mondo umano.
La prassi di antropologizzazione comporta l’adozione di categorie di giudizio e principi comportamentali specifici dell’uomo, che vengono trasposti con egoismo all’animale; spesso, tale comportamento, anche se assunto a fin di bene e in buona fede, diventa una disgrazia per l’animale che si trova a vivere in uno schema imposto dall’esterno, contrario al suo stesso istinto.
Ma d’altronde, il dolore non appartiene all’antropologizzazione: il dolore, anche nelle relazioni interpersonali, si offre solo e sempre nella manifestazione esteriore, nell’espressione, nelle grida.
Non c’è mai possibilità autentica di condivisione, ma solo un “partecipare” al dolore altrui in maniera empatica.
Il dolore, perciò, si offre nel suo sottrarsi alla percezione effettiva. Questo è vero tanto con gli uomini che con gli animali: ritenere falso o insignificante il dolore dell’altro ci fa precipitare nella barbarie del nazismo. Le cose si complicano ulteriormente se riflettiamo non solo sul dolore fisico, ma su quello psicologico.
Su questo livello, la sofferenza e il dolore dell’animale è difficilmente indagabile e comprensibile: e subito ci sentiamo autorizzati a pensare che si tratti di un dolore diverso, poco importante e meno significativo ...
Tornando invariabilmente a dimostrare la nostra presunta superiorità su chi decidiamo essere più debole e quindi manipolabole a piacimento.
Credo sia importante sottolineare che riconoscere il diritto alla vita degli altri, siano essi uomini, donne o animali, è proprio ciò che nobilita l'uomo, in quanto essere consapevole, pensante e dotato di ragione e sentimento.
Trond
-- 25/01/11, 17:59 --
darkadea ha scritto:
Tornando comunque al discorso iniziale, non per questo motivo lo condanno alla forca o alla "morte atroce", come affermava il piccolo mostro...
Ely è stata già richiamata a suo tempo su tale questione: si è scusata, e le sue giustificazioni sono state accettate.
Sei perciò pregata di non seguitare a chiamarla in questo modo.
Grazie,
Trond